Su Cinzia come simbolo trans

Antonia Caruso
3 min readOct 28, 2019

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Era uscita la notizia, quest’estate, che il/la graphic novel “Cinzia” di Leo Ortolani sarebbe diventata a Lucca Comics & Games uno spettacolo teatrale(qui info). I nogender hanno tuonato e rantolato con la bava alla bocca. Dalle vacanze-non-vacanze all’insorgere dei fan che prendevano Cinzia come esempio di libertà ho dovuto scrivere.

Nel deserto cosmico dell’editoria, non dico frocia, ma forse appena LGBT, la pubblicazione di Cinzia di Ortolani è stato come l’arrivo del monolite (cogliete voi la citazione).
Ortolani ha preso un personaggio con delle grandi potenzialità narrative e ne ha fatto un fumetto con una sceneggiatura supersolida, hollywoodiana, tempi comici giusti. Pure divertente.
Che abbia come protagonista una donna trans (con attributi in parte discutbili) e che abbia dei riferimenti alla comunità non ne fa un prodotto LGBT, di autorappresentazione buona-o-cattiva-o-problematica che sia.
In quanto personaggio transfemminile Cinzia, comunque personaggio forte, ha come unica prospettiva di vita almeno fino a pagina xx l’amore. Politicamente il finale favolosità +charme non risolve niente se non sul piano narrativo. È un bel finale.
Né poi le mille battute (in realtà 26) sul lungo pene di Cinzia hanno un valore di liberazione. Un uomo cis può fare delle battute sul pene, certo. A patto che sia il suo, o quello di suo padre.
Se Cinzia ha avuto successo è perché Ortolani è famoso, sono anni che lavora e sforna fumetti che non sono Tex Willer. È un autore postmoderno e intelligente che gioca continuamente col fumetto, il testo contraddice il disegno, la vignetta contraddice la sequenza. Ortolani è uno bravo. Con l’ingenuità del cis sprovveduto ha tolto la pesantezza disforica e dolorosa da una narrazione apparentemente trans.
Ma non facciamo diventare Cinzia un simbolo di liberazione trans, solo perché è tipo l’unico fumetto con una protagonista trans. Ci sono anche Little Waiting di Ariel Vittori e P. — La mia adolescenza trans di Fumettibrutti.
Non vale nemmeno per l’idrofobia dei cattofascisti che esultano per qualsiasi spruzzo di vapore che assomigli alla madonna. Prendiamolo per quello che è, cioè un buon, molto buonissimo, fumetto comico.
Grazie Leo ma non prenderti tutto il merito, il pisello di 30 cm è nostro se dovesse esistere sarebbe infilato in una roccia.

2.
La rappresentazione perfetta non esiste, per le persone trans che siamo mille e con prospettive rispetto alla nostra transizia molto diverse.
Poi di base ci odiamo tutt* tra noi proprio per queste differenze, alcune di queste ingiustificabili (già)perché intolleranti e rancorose.
Non basta non rappresentare negativamente per rimanere sulla sponda del positivo, così che non basta non fare una battuta sessista o omotransfobica per considerarti una bella persona.
Nemmeno sapere a memoria i processi medicosanitari basta per una buona rappresentazione.
Non dovrebbe nemmeno esserci questo bisogno persistente di trovare delle buone rappresentazioni.
Non so dire esattamente e con precisione legislativa dove e come Cinzia e magari Pose e Sense8 siano rappresentazioni giuste.
Posso dire che più o meno alcune cose continuano a mettere in scena degli stereotipi negativi.
Egoticamente parlando né Cinzia né Pose mi rappresentano: non ho quei tipi di corpi, non mi rapporto col corpo in quei modi, non cerco relazioni amorose in quel modo e con quelle persone, sono bianca e middle classe.
Se rimaniamo sull’oleografia non drammatizzata del reale, rispetto a me non sono buone rappresentazioni.
Questo è il grande limite del discorso sulla rappresentazione finzionale: che l’unico parametro sia l’aderenza contemporanea ad una realtà, in questo caso l’idea di quello che si pensa debba essere una persona trans. Perché quello che su una persona trans si deve raccontare dev’essere la realtà oggettiva. Qualcosa di molto simile a un’autodiagnosi. La rappresentazione finzionale deve avere in sé una necessaria drammatizzazione.
Quello che va bene a me (e, sì, non mi va bene praticamente niente) non va bene ad un’altra persona.
Se devono diventare metafore, le rappresentazioni perfette di soggettività minoritarie non esistono. Se dovessero avere la pretesa di essere universali, non so dirlo. So individuare abbastanza bene cosa non va: ed è esattamente questo:

(poi dal momento che non esiste un test di bechdel per le rappresentazioni trans, forse mi toccherà farlo).

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