Le manipolazioni retoriche delle TERF
Le posizioni delle TERF sono abbastanza trasparenti, un po’ meno trasparenti sono le modalità retoriche con cui si esprimono.
Ho preso un testo a caso, la lettera scritta da Alessandra Asteriti, docente di “Diritto internazionale alla Leuphana University, in Germania” e pubblicata da Concita De Gregorio il 16 dicembre 2020 sul suo blog, e ho provato ad decostruire frase per frase.
“Due anni fa lanciai un thread su Twitter sul sesso come categoria protetta nel diritto internazionale.
L’autrice si pone da subito come una che fa, stimola dibattiti, pensieri, vive il suo tempo.
Per farlo introduce attivamente un argomento per la prima volta su una piattaforma social. Usa una locuzione tecnica come /categoria protetta/ e un ambito molto specialistico per cui si mette in una posizione di conoscenza gerarchicamente superiore. Non dice però il modo in cui ha posto la questione. Era una domanda? Una provocazione? Uno studio? Un’asserzione? Non importa, la cosa importante è che dall’alto della sua docenza ha introdotto un argomento su Twitter. E quali hashtag avrà usato? E poi da chi è formata la sua bolla social?
Mi sembrava, e mi sembra, che sostituire il sesso con l’identità di genere, concetto sconosciuto a miliardi di persone, ledesse i diritti delle donne.
Non è chiaro se questo sia il contenuto del thread lanciato. La consequenzialità di /scrivere qualcosa/ + /sembrarmi/ potrebbe far pensare che lo sia.
Se non che il /sembrarmi/ nell’ambito del diritto non so quanto valore abbia. /Sembrare/ al passato e poi al presente serve a rafforzare e a confermare la bontà della convinzione. Se lo pensava prima e lo pensa ancora oggi allora, insomma, si vede che è giusto.
Usando “concetto sconosciuto a miliardi persone” si pone ancora come una persona esperta, in quanto lei stessa ne è a conoscenza in opposizione all’ignoranza. Si appella a una sorta di vox populi per cui se così tante persone ignorano il concetto di identità di genere allora sottintende che sia sbagliato.
Per esempio, le Nazioni Unite calcolano che ci siano fino a 140 milioni di donne ‘in meno’ al mondo, per via di pratiche come l’aborto selettivo e l’infanticidio. I feti non hanno un’identità di genere”.
Le Nazioni Unite vengono citate come fonte affidabile e autorevole ma senza citare alcun tipo di studio né dei metodi di analisi né il corpus preso in considerazione.
Andando a verificare però lo studio delle Nazione Unite esiste.
Il nesso tra l’opinione e il fatto è il “per esempio”.
Credo che i diritti delle donne siano in pericolo e per supportare la mia opinione cito uno studio.
L’aborto selettivo e l’infanticidio nel caso di feti di sesso femminile sono una lesione ai diritti delle donne, ma come fa a esserlo la sostituzione dell’identità di genere con il sesso a portare all’aborto selettivo e all’infanticidio non è chiaro. Sul piano dell’argomentazione non si spiega nulla. /Identità di genere/ è un contenitore vuoto il cui unico significato è di /minaccia per il sesso/.
La minaccia è talmente generica che sostituendo identità di genere con fisica quantistica o fibromialgia il senso del discorso non cambia perché cosa sia nel concreto la minaccia non è in alcun modo spiegata se non nell’ultima criptica frase.
In più non viene specificato in quale settimana di gravidanza il feto sia.
Il senso di questo primo paragrafo si può riassumere in: io sono una persona che sa delle cose che miliardi di persone non sanno, ad esempio che c’è una cosa che si chiama identità di genere che porta all’infanticidio.
Come questo sia possibile però non è molto chiaro ma le convinzioni di una vita e le Nazioni Unite mi danno questa certezza.
“Moltissime donne hanno cominciato a seguirmi e a scrivermi per ringraziarmi. Mi hanno detto di avere paura di parlare, di essere state minacciate, di aver perso lavoro, spazi e servizi solo per donne, incluse cure mediche. Ho cominciato a ricevere minacce di stupro e di morte.
Forse questo è il thread di cui parlava? Questo paragrafo calca la mano sull’aspetto emotivo. Ora che avete avuto fiducia in me in quanto persona competente sul piano cognitivo adesso posso puntare sull’essere affidabile emotivamente.
Da una parte si pone l’accento su parole e situazioni con una forte carica emotiva: /seguire/, /ringraziare/, /avere paura/, /essere minacciate/. Questo paragrafo quindi punta su un forte impatto emotivo (perché effettivamente sono cose abbastanza pesanti) e allo stesso tempo consolida la propria idea usando lo stesso artificio retorico della quantità che conferma qualcosa. Se tante persone — “moltissime donne” — agiscono in un determinato modo — seguono e ringraziano — allora ci dev’essere qualcosa di vero.
In più c’è un ulteriore passaggio significativo che da un ambito di diritto internazionale passa ad uno di azioni perseguibili come le minacce di morte, di stupro e i licenziamenti e quindi di diritto penale (su questo punto non sono ferratissima).
Quindi: io sono una persona che sa delle cose che miliardi di persone non sanno, ad esempio che c’è una cosa che si chiama identità di genere che porta all’infanticidio, ma come me moltissime donne. Probabilmente tutte queste donne non fanno parte dei miliardi di persone ignoranti, perché loro sanno.
La figura che emerge è una figura che a causa di quello che sa e che dice è minacciata. È anche una figura quasi messianica che con un solo tweet scopre un vaso di Pandora, un turpe abisso.
Cosa sia l’identità di genere continua a non essere spiegato a chi non lo sa ma rimane quindi una sorta di mistero iniziatico. Non è nemmeno chiaro se il diritto internazionale parli di identità di genere e come. Quindi finora le competenze e i saperi sull’identità di genere da un punto di vista giuridico non è nemmeno chiaro se esistano.
Così come l’autrice si toglie dal suo ruolo di docente di diritto internazionale per entrare in quello di protettrice.
Finora l’unico dato ufficiale rimane lo studio delle Nazione Unite che comunque parla di gender-biased sex selection.
Accusata di essere transfobica, una nazista, io che sono di sinistra da sempre. Solo per aver difeso i diritti delle donne.
Qui c’è un ulteriore salto logico e narrativo per cui, direi finalmente, si menzionano le persone trans. La conseguenza logica sottintesa è che affermare che la sostituzione del sesso con l’identità di genere sia dannoso per le donne perché porta agli infanticidi è transfobico. Questo passaggio è molto importante perché è un passaggio che ritorna spesso nella retorica terf. Soprattutto se si parte da dei presupposti almeno in questo caso parzialmente corretti.
È /vero/ che esistono le pratiche di aborto selettivo, è /vero/ che le Nazioni Unite hanno fatto uno studio del genere, è /vero/ che i feti non hanno un’identità di genere (anche perché iniziano a sviluppare gli organi sessuali primari a partire dal secondo mese), è /vero/ che l’autrice si occupa di diritto internazionale, è /potenzialmente vero/ che abbia usato twitter perché sono tutte cose verificabili. Così come sono /potenzialmente vere/ le reazioni di queste moltissime donne.
Siamo quindi in un regime di verità, se non proprio evidenti, almeno facilmente verificabili.
Quindi dato questo contesto di verità la conseguenza logica e quasi per prossimità anche la /sostituzione del sesso con l’identità di genere/ è /vera/ e anche la sostituzione del sesso con l’identità di genere è dannosa per le donne/ è /vera/.
All’interno di questo discorso quelli che vengono considerati dei garanti della verità sono Twitter, le Nazioni Unite, l’uso di una cifra i 140 milioni, il linguaggio tecnico del diritto (“categoria protetta”, “infanticidio”), quello medico (“feti”, “aborto selettivo”).
Poi compare la cosiddetta Reductio ad hitlerum per cui non ci può essere niente di peggio del nazismo come insulto rispetto a una certa intransigenza e integrità (vedi nazifemminista, grammar nazi).
Concludendo con un’altra cosa che forma una sorta di tradizione e quindi di validità. Sottintendendo che l’essere sempre stata di sinistra sia intrinsecamente giusto, non è possibile che proprio lei in virtù di questo sia non solo transfobica ma anche nazista.
I ‘diritti dei trans’ non c’entrano nulla con questo movimento che vuole eliminare il sesso come categoria distinta e le donne come categoria protetta”.
L’autrice sposta il discorso. Cos’avrà voluto dire con quelle virgolette in “diritti dei trans”, poi non si sa. Non specifica quale sia questo movimento. Un’altra affermazione non verificabile.
“Ci sentiamo dire che ci sono donne con il pene e uomini con la vagina. Che se usiamo la parola donna per descriverci siamo transfobiche. Siamo persone con l’utero, mestruanti, proprietarie di vagina.
Il verbo pone tutto in una prospettiva passivizzante. Non che “/esistono/, non che /sentiamo dire/ ma “ci sentiamo dire”. Poi si passa ad una prospettiva vittimizzante usando una forma paradossale. Com’è possibile che mi si accusi di transfobia quando voglio solamente definirmi come donna e in quanto avente un utero.
Intanto le donne trans sono donne. Loro sì. Noi no.
Questa affermazione è proprio falsa perché nessuna donna trans ha mai detto che le donne cis non sono donne. Ma è solo un frammento all’interno del discorso che fa.
Che se difendiamo i nostri diritti siamo fasciste e bigotte.
Qui c’è proprio un’altra condizione basata su un paradosso. Il punto è che non spiega come si vuole difendere i diritti delle donne.
Che gli spazi solo per donne devono essere aperti a tutti quelli che si identificano come donne, indipendentemente dalla loro anatomia.
Non indica quali spazi.
Se un uomo a cinquant’anni decide di essere una donna, lo diventa immediatamente”.
Altra affermazione falsa perché non si diventa diventa donne immediatamente.
Questo è un paragrafo esplicitamente transfobico ma viene dopo tutto. Viene dopo l’introduzione che porta chi legge a fidarsi dell’autrice. Una volta conquistata la fiducia può dire quello che vuol anche dicendo cose palesemente false, che però nel regime di verità creato dai paragrafi precedenti assumono per giustapposizione un valore di verità.
La biologia è transfobica. La realtà è transfobica.
Queste due asserzioni sottendono l’ineluttabilità della transfobia.
La realtà è quello che un uomo decide che essa sia e se un uomo mi dice di essere una donna, devo credere a lui e non ai miei occhi. Avete letto Orwell, spero.
Qua abbiamo una messa in discussione dell’autodeterminazione e lo fa usando determinate parole. Se avesse scritto “la realtà è quella che una persona decide che essa sia, e se una persona mi dice di essere una donna, devo credere a lui e non ai miei occhi” sarebbe ben diverso. /Una persona/ è un termine neutro che lascia lo spazio di autodeterminazione, /un uomo/ no. All’interno di di un discorso su genere e sesso nominare e quindi dare un genere una persona è un’affermazione incontrovertibile. Sei un /uomo/ non puoi dire di essere una donna. Ma se sei una /persona/ puoi dire di essere una /donna/.
La verità poi è data da ciò che l’autrice vede, i suoi occhi sanno distinguere la verità. Rimanendo nell’ambito di diritto internazionale o della medicina, che è l’ambito dove l’autrice ha inizialmente deciso di porsi e porre il proprio discorso, /quello che gli occhi vedono/ non può valere come verità. /quello che gli occhi vedono/ è una percezione soggettiva e non può valere come /vero/.
Poi chiude citando Orwell, che è un altro artificio retorico. Nominare un ente generalmente riconosciuto come affidabile per dare ragione alle proprio affermazioni, nello stesso modo in cui le Nazioni Unite sono state citate, ma almeno in quel caso era qualcosa di verificabile. Orwell ha scritto tante cose. Probabilmente si riferisce a 1984 e alla neolingua.
In più per la prima volta si rivolge direttamente a chi legge con una doppia mossa. Una quella di tirare in causa chi legge per invitarl* a prendere parte al discorso, la seconda è quella di verifica, quello /spero/. Spero siate abbastanza intelligenti da aver letto Orwell come io invece ho fatto e grazie al quale ho capito tante cose. Se non l’aveste fatto mi dispiace ma non potete capire.
Per due anni ho continuato a scrivere di queste cose, mi sono informata, ho incontrato online tantissime donne, abbiamo creato gruppi in cui scambiare informazioni e consigli. Ho continuato a ricevere minacce e abusi.
Qua torna su di sé, e torna a presentarsi come la paladina dei diritti.
Ho ricevuto pochissima solidarietà dall’ambiente accademico”.
Qua continua con la posizione vittimizzante. Non presenta nessuna fonte affidabile, ma considerando le disparità di potere che ci sono nelle università è /possibilmente vero/.
“Un collega, con esperienza pluridecennale in diritti umani, mi ha detto di non aver mai visto tanta paura di parlare come per l’ideologia di genere.
Torna a usare la carta dell’ente affidabile. Ma non facendo nomi non è una informazione affidabile.
Allora io vi chiedo: vi sembra questo un movimento per i diritti umani, o un movimento sessista che sfrutta cinicamente ‘i trans’ per distruggere le conquiste che le donne hanno ottenuto negli ultimi cento anni?”.
Chiude così rivolgendosi di nuovo a chi legge. I due termini sono messi in contrapposizione. Il primo è presentato in maniera neutra ma intrinsecamente positivo, il secondo già con un giudizio di valore in quanto /sessista/, /cinico/ e /distruttivo/. Ovviamente chi legge tenderà a prediligere il termine non negativo.
Inoltre pone /i trans/ (vabbè) come oggetto di questo movimento, le persone trans vengono quindi usate e di conseguenza depotenziate. Ma chi ci sia dietro questo movimento non è chiaro, se non sono le persone trans stesse chi c’è dietro?
Alla fine il succo del discorso è che le persone trans uccidono i bambini, vogliono infilarsi negli spazi delle donne, vengono usate e comunque sono degli uomini.
L’autrice usando vari salti logici, cambi di registro, strategie retoriche riesce a fare quello che il discorso politico fa spesso, cioè manipolare e persuadere.