Ancora sulla transfobia e su twitter

Antonia Caruso
5 min readJul 21, 2023

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Il problema di usare transfobia per indicare qualcosa di ehm transfobico è che viene comunemente inteso come l’atto di usare una parola considerata come offensiva.

Tipo trans di merda.

Come trans-fobia le altre fobie culturali — quindi non le fobie propria di paurissima, tipo aracnofobia e coulrofobia (mia fobia prefe) e tripofobia — ma omofobia, bifobia, islamofobia, sono intese come azioni offensive che usano il linguaggio e che usano le mano o altro oggetti contundenti.

Ci sono anche altre forme per dire la stessa cosa che invece usano il prefisso miso- come misoginia, misandria e misofonia. Se dicessimo ginofobia o androfobia avrebbe un altro effetto, forse per abitudine ma forse anche per altro.E poi anche quello semplice semplice con il prefisso anti- come antisemita.

Queste tre forme adesso vengono racchiuse nella dicitura Hate Speech o Discorsi d’odio. Se in italiano il termine discorso può essere inteso in maniera più ampia soprattutto da chi ha letto Foucault, in inglese speech ha un’accezione più limitata legata al linguaggio.

Quindi fobia = insulti e botte.
Quindi violenza percepibile e non equivocabile. E fin qui ci siamo. Il movimento femminista e transfemminista parla da anni di questo e di tutte le declinazioni invisibili della violenza.

Ovviamente noi persone potenzialmente fobiate sappiamo che la violenza è più spesso sottile, soprattutto nel linguaggio. Esistono il sarcasmo, l’ironia, i giri di parole, le perifrasi e il contesto a cui si riferisce.

La equivocabilità si basa su (come sempre) una logica binaria di insulto/non insulto o anche di una condivisione di senso e intenzione tra chi parla e chi ascolta.

Se chi ascolta o legge percepisce qualcosa come offensivo non è detto che chi parla abbia voluto esserlo.

Poi c’è il caso di chi manipola questa situazione, dicendo una cosa volutamente equivocabile per tirarsene fuori nel caso qualcuno se ne risenta.

Un esempio al contrario: chi si lamenta che cis sia un insulto.

Il fatto è che spesso effettivamente viene usato come un insulto per indicare una persona che non riesce a capire quelli che in gergo politico vengono chiamati privilegi. Il più delle volte diciamo cishet per indicare una persona decisamente basic, una persona che indossa i pantaloni a pinocchietto.

Ma cis in sé non è un insulto. È una contronominazione, ed è un modo per dire che normale non va bene.

Cis non neanche è un’identità di genere. Nemmeno trans è una identità di genere in sé, ma sono parole che si riferiscono a un posizionamento relativo e non assoluto rispetto alla (presunta) fissità del sesso biologico.

Questa dinamica che ho certamente spiegato non bene, ha portato nella diciamo comunità queer a diverse reazioni.

Una è quella della nominazione e del potenziale ipercorrettismo (che prendo in prestito dalla linguistica ma non è esattamente quello), per cui le cose vanno nominate solo in un certo modo e si crea così un lessico politico ben definito che però può andare bene nella propria cerchia ma non sempre al di fuori. Allo stesso tempo è anche un modo per evitare appunto l’equivocabilità per cui si dice violenza per indicare qualsiasi cosa possa essere essere giustificata come bravata, apprezzamento, complimento, mano sul culo, affetto, parentado.

Questo ha portato una ipersensibilità per cui qualsiasi cosa, nel dubbio, è da considerarsi un insulto, un abuso, una violenza. Il punto è che spesso lo è, ma può anche non esserlo. Che può portare a pensare graziealcazzo, ma riguarda molto più le risposte fisiologiche di ipervigilanza e ansia.

Concentrarsi solo sul significante verbale può creare anche dei paradossi per cui ci può essere una forma assolutamente corretta ma con un senso di insulto.

Ad esempio “hey tu personə enby aspec ma ragioni proprio come una persona con disabilità neurodivergente di 3 anni” è formalmente corretta ma non è proprio lusinghevole.

Come scrive Kai Cheng Tom in Spero sceglieremo l’amore “non voglio essere validata voglio essere amata”.
Il punto è proprio questo, usare la validazione o l’invalidazione come microprocessi di rapporti tra identità (e microidentità).

Il misgendering per esempio è una invalidazione attraverso il genere. Può essere volontario ma può essere un errore, uno sbaglio, una dimenticanza.

La categorizzazione della realtà si basa anche attraverso una serie di criteri secondo i quali riconosco un qualcosa come tale.

Se davanti a me c’è un coso che ha una base salda a terra e una parte piatta più o meno parallela al terreno probabilmente se proprio non sarà una sedia posso quantomeno usarla come tale.

Il gatekeeping interno, altro esempio, (come scritto qua) è l’invalidazione di qualcuno attraverso dei criteri identitari, che spesso non sono altro che un riflesso della fobia dell’esterno.

Insomma tutta sta pippa è nata da questo tweet e da tutte le interazioni seguenti, dove il Vitiello riporta uno screenshot dell’intervista che Sandra Cane ha fatto a Susan Stryker pubblicata su Il Tascabile.

Niente di nuovo, è il solito cishet che fa lo splendido. Sotto rispondono una serie di personaggi come Guia Soncini dando manforte al Vitiello e condividendo il suo scherno.

Al che scrivo un tweet in cui dico che c’è puzza di transfobia.

Risposta esemplificativa:

Dal momento che non ci sono insulti non viene colta la transfobia.

Ma per me è evidente che di transfobia si tratti, molto più nella sua risposta che nel tweet primigenio.

a) il Vitiello non è una persona trans e lo screen riguarda una donna trans che intervista un’altra donna trans su temi trans, quindi qualsiasi cosa dica è subito OT.

b) il Vitiello ha dalla sua che scrive su Internazionale (che gli dà mille punti credibilità) e sul Foglio (non molti punti credibilità)

c) Il Vitiello dice che vuole farmi causa. Quindi usa lo scherzo per attaccare e la giustizia penale per difendersi. E questo è uno schema ricorrente. Ti prendo in giro col sarcasmo (file under: libero pensiero inequivocabile) ma se mi tocchi chiamo gli avvocati (file under: reato di diffamazione, inequivocabile), molto Marina Terragni style. Ciao Marina, mi manchi.

E se non vogliamo chiamarla transfobia perché insulto non c’è chiamiamola esercizio di potere ai danni di una persona trans il cui discorso viene invalidato in quanto trans.

UPDATE: effettivamente Vitiello mi ha mandato una diffida per vie legali, alla quale ho risposto, tramite una legale, con una controdiffida.

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